I bambini di Lingfield. Ritorno all’infanzia dopo Auschwitz

"Se solo il mio cuore fosse pietra": Il libro di Titti Marrone e la storia dei bambini reduci dai lager, accolti nel 1945 nella campagna inglese da un gruppo di volontari guidato da Anna Freud

Lingfield 1945. Due piccole ospiti
Lingfield 1945. Due piccole ospiti

Quest’anno molti dei libri proposti per il giorno della memoria, nell’anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, sono storie di bambini. Un po’ accade perché i testimoni stanno scomparendo, sono rimasti quelli che allora erano piccoli, i più fragili e indifesi internati nei lager. Ma credo si debba anche al fatto che la nostra attenzione e il desiderio di capire sono diventati più esigenti e sottili. La memoria della Shoah è un prisma che non finiremo mai di indagare, una voragine  che continueremo a esplorare e che mai smetterà di parlarci. Quando non potremo più attingere all’ esperienza diretta dei sopravvissuti, resteranno i libri, i film, le opere d’arte. E le ferite indelebili anche nelle seconde e nelle terze generazioni. Non basterà un secolo a venirne fuori.

i bambini di lingfield
I bambini di Lingfield

Tra i nuovi libri sui bambini nella Shoah ho scelto “Se solo il mio cuore fosse pietra”, scritto da Titti Marrone per Feltrinelli. Una storia dove tutto è vero ma ricostruito in forma di romanzo. In modo così semplice e diretto da poter catturare anche l’attenzione dei lettori più giovani e far arrivare ai ragazzi la profondità delle lacerazioni nei bambini che furono internati a Auschwitz e a Terezin, ma anche il loro straordinario attaccamento alla vita e la loro difficile rinascita.  Qui si racconta la più importante esperienza di recupero di piccoli sopravvissuti realizzata nel primo dopoguerra. Quella di Lingfield House, in Inghilterra, dove nel 1945 un gruppo di volontari sotto la guida di Anna Freud, figlia del fondatore della psicoanalisi, e della sua assistente Alice Goldberger,  trasformò una villa di campagna in una residenza per bambini ebrei reduci dai campi, o che avevano trascorso la guerra rinchiusi in tetri nascondigli, sempre esposti al rischio di essere scoperti.

Di questo libro ho amato la capacità di rendere così bene il navigare a vista di quel gruppo di volontari. Pionieri  che dovettero imparare a decifrare  il vissuto dei bambini, usando empatia, intuito, affetto per interpretare  gesti e parole che nascondevano ferite e traumi indicibili.

Noi lettori siamo un po’ come loro, gli adulti di Lingfield. Anzi, dopo tutto, sui lager nazisti abbiamo molte più informazioni di quelle di cui disponevano loro nel 1945, quando se ne sapevano ancora poco. Eppure quel piccolo gruppo, quasi tutto di donne, riuscì a capire quelle creature cresciute all’inferno, di cui spesso non si conoscevano neppure il nome o la provenienza.  Bambini convinti di essere stati abbandonati dai loro genitori, che invece erano morti o avevano affidato i figli ad altri per metterli in salvo o li avevano perduti dopo che erano stati strappati loro con violenza.  Piccoli che non potevano più fidarsi dei grandi, dai quali erano stati atrocemente ingannati. Ragazzini internati che avevano visto le persone entrare nelle camere gas, erano cresciuti pensando che quello fosse il mondo, e non avendo conosciuto altro giocavano con la morte. Bambini spaesati nella babele linguistica dei campi, dove avevano smarrito identità, provenienza, parole, attaccati al loro cucchiai di latta, indispensabili per mangiare la sbobba e sopravvivere.  Minuscoli imitatori di aguzzini, che avevano preso a esempio la ferocia dei guardiani perché non avevano avuto altri modelli “forti” cui aggrapparsi. A Lingfield, con gli spettri dei campi,  si materializzò una spaventosa fiaba nera.

Lingfield  fu un’esperienza terribile e meravigliosa, il miracolo di restituire un nome, una storia, una vita a chi non aveva visto altro che orrore. Poi vennero i tempi grigi del ridimensionamento dei fondi e dei mezzi a disposizione, delle adolescenze difficili, del reinserimento in famiglie adottive  che perlopiù praticarono l’oblio e vollero far dimenticare ai loro figli ciò che avevano vissuto. Il mondo non voleva sapere, preferiva rimuovere, è stato così per decenni. E non pochi di quei bambini crebbero nella disillusione, covando  sfiducia negli adulti che avevano cancellato le loro storie, probabilmente perché non riuscivano a contenerne l’angoscia.

Titti Marrone ha incontrato l’infanzia al tempo di Auschvitz  anni fa, per aver scritto un altro libro, Meglio non sapere, pubblicato da Laterza nel 2003 e arrivato alla quindicesima edizione. Lì si raccontano le storie delle sorelle Andra e Tatiana Bucci, che poi furono a Lingfield,  e del loro cugino Sergio De Simone che invece non poté arrivarci: fu usato come cavia di esperimenti e ucciso dai nazisti, per cancellare le tracce, pochi giorni prima dell’arrivo degli alleati. Sono stati questi tre bambini a portare Titti a Lingfield e lei ha saputo raccontarla come se ci fosse stata.

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