Nel film di Sarah Gavron ha il viso di Meryl Streep, con questo ruolo già in corsa per una nomination all’Oscar come miglior attrice non protagonista: seducente e carismatica sotto l’ampio cappello, un po’ gigionesca mentre dice ”Never give up the fight! ”. Il film è Suffragette, prima europea il 7 ottobre al Festival di Londra e anteprima americana a Telluride in Colorado nei giorni scorsi; e lei è Emmeline Goulden Pankhurst, 1858-1928, affascinante e assai controversa guida del movimento suffragista britannico, inserita da Time nella lista delle 100 personalità più influenti del XX secolo – anche se il mondo ricorda a malapena chi fosse.
Scritto da Abi Morgan, la stessa sceneggiatrice di The Iron Lady, il film è la storia di una giovane donna della working class – ruolo affidato a Carey Mulligan – che sfida il marito e rischia di perdere la custodia dei suoi bambini, partecipando agli scontri per il voto alle donne nella Londra del 1912. La presenza di Emmeline è solo un vivido cammeo ma tanto basta: vedremo una rilettura libera di una pagina di storia o un santino femminista? Variety anticipa che si tratta di un’opera divulgativa, più al servizio della politica che dell’arte, e che è focalizzata sui pesanti costi umani della battaglia per il voto. E quasi certamente andrà delusa l’aspettativa di AfterEllen.com, sito americano di lesbian/bi pop culture, che accanto a Emmeline avrebbe voluto vedere la compositrice Ethel Smyth, autrice della marcia delle donne, con la quale la signora Pankhurst avrebbe avuto una relazione – almeno stando alle rivelazione del diario di un’altra suffragetta. Chi ha visto il film in anteprima sembra più che altro impressionato dalla violenza dello scontro: minute signore che tirano fuori un mattone dalla borsa e sfasciano vetrine, mentre bruciano le cassette delle lettere ed esili figure si accasciano sotto le manganellate e resistono mentre sono trascinate via… Allora fu una shock, mai viste donne organizzate in atti vandalici. Il film mostra anche l’attentato alla casa di campagna disabitata dell’allora primo ministro britannico Lloyd George, che nel 1913 fu fatta saltare in aria. Come si era arrivati a tanto e chi era veramente Emmeline Pankhurst?
Le foto d’epoca mostrano una donna elegantissima, che nei tratti ricorda vagamente la Duse; come la sua rivale politica Millicent Garrett Fawcett, Emmeline teneva moltissimo alla sua immagine femminile. Ma Millicent era più vecchia di dieci anni e apparteneva alla precedente generazione di suffragiste. Era la sorella minore di Elisabeth Garrett, prima medico donna d’Inghilterra e fondatrice con Barbara Bodichon del Queen’s College, istituito nel 1848 per garantire un’istruzione di alto livello a ragazze a quel tempo escluse dalle università. Elisabeth Garrett e Barbara Bodichon nel 1865 avevano anche fatto parte del comitato elettorale del filosofo liberale John Stuart Mill, autore del famoso saggio “La servitù delle donne”, pubblicato nel 1869 e che era un debito d’amore verso la seconda moglie Harriet Taylor, cui si deve – si legge nell’introduzione – “tutto quanto vi è di più significativo e profondo in quello che ho scritto”.
Eletto al Parlamento, John Stuart Mill sollevò subito la questione del suffragio politico femminile, ma prima di arrivarci ci sarebbero voluti più di cinquant’anni. Intanto, nel 1897, le associazioni a sostegno del voto alle donne – di cui facevano parte anche moltissimi uomini – si raccolsero nella NUWSS, l’Unione nazionale delle società per il suffragio femminile, guidata appunto da Millicent Garrett Fawcet e vicina al Partito Liberale. La NUWSS manterrà sempre una linea prudente, moderata, “non militant” per distinguersi dalla WSPU, l’Unione sociale e politica delle donne, più radicale, senza affiliazione politica e separatista, fondata nel 1903 da Emmeline Goulden Pankhurst.
Nella seconda metà dell’ Ottocento, in Inghilterra, il fermento politico tra le donne – che dal 1835, se dispongono dei requisiti di censo, hanno il voto amministrativo – è davvero vivace: si battono per una legge sul divorzio più liberale e per il diritto di disporre dei loro beni che, con il matrimonio, passano al marito; fondano i primi college femminili presso le principali università e organizzano corsi per l’ammissione a Oxford e Cambridge, dove le ragazze cominciano a entrare dopo il 1870; promuovono una campagna contro i controlli sanitari di polizia per sospetto esercizio della prostituzione … Raccolgono molti successi, ma mancano con ogni evidenza il voto politico e il coinvolgimento, nella sfera dei diritti, delle donne delle classi più povere, le cui condizioni di vita sono ancora quelle descritte nei romanzi di Dickens.
E’ in questo contesto che si forma la giovane Emmeline Goulden. Nata a Manchester da una coppia di convinti supporter della causa abolizionista nella guerra civile americana, Emmeline sapeva già leggere a tre anni, non ne aveva ancora cinque quando cominciò a seguire la madre nelle iniziative di solidarietà con gli schiavi emancipati; e a quattordici partecipò al primo meeting per il suffragio. Lo racconta lei stessa, accorta amministratrice della proprio mito, in “My own story”, l’autobiografia pubblicata nel 1914, dove tra l’altro “aggiusta” la data del suo compleanno al 14 luglio per farlo coincidere con la presa della Bastiglia.
La famiglia la manda a studiare a Parigi, alle Ecole Normale de Neully, dove diventa amica di Noémie Rochefort, figlia del noto repubblicano Henri Rochefort, imprigionato in Nuova Caledonia per il ruolo giocato nel disastro della Comune di Parigi. In Francia, Emmeline trova anche un corteggiatore che si dilegua quando suo padre, Robert Goulden, dice chiaro e tondo che non è disposto a pagare una dote. L’uomo della sua vita sarà un altro, completamente diverso, lo incontrerà al suo ritorno a Manchester: il dottor Richard Pankhurst, avvocato radicale e pacifista, era un appassionato sostenitore di diritti civili e tra i fondatori della Società Nazionale per il Voto alle Donne; aveva 44 anni, più del doppio dell’ età di lei, non era fisicamente attraente ma era romantico e idealista. Si sposarono nel 1878 e per i successivi vent’anni, nel corso dei quali ebbero ben cinque figli, avrebbero condiviso veramente tutto.
Nella biografia di June Purvis – “Emmeline Pankhurst. A Biography”, Routledge 2002 – troviamo una moglie vittoriana della classe media dotata di straordinaria energia. Emmeline partecipa attivamente a tutte le iniziative per il suffragio femminile, incoraggia le ambizioni politiche del marito che vuol entrare in Parlamento e gli organizza le campagne elettorali, tira su cinque figli con l’aiuto di due tate, apre un negozio a Londra per incrementare il reddito della famiglia, trasforma la sua casa in un salotto frequentato da intellettuali e giornalisti, da socialisti e riformatori, Fabiani e radicali, suffragiste e liberi pensatori…Dopo dieci anni di matrimonio, nelle brevi separazioni per l’attività politica che lo impegnava a Manchester, l’avvocato Pankhurst scrive ancora alla moglie appassionate lettere d’amore.
Nel 1882 è Richard Pankhurst a stendere il testo della legge che restituiva alle donne sposate i diritti sui propri beni, ma a diventare deputato non ce la fece e fu sempre battuto per le sue posizioni molto radicali: era repubblicano, favorevole alla causa irlandese e per l’indipendenza dell’India, chiedeva l’abolizione della Camera dei Lords… Nel 1893, delusi dal mancato sostegno del Partito Liberale e sempre più coinvolti anche nella questione sociale, i Pankhurst fondano il Partito Laburista Indipendente. Cinque anni dopo, Richard non sta bene e con un telegramma richiama a casa dalla Svizzera sua moglie: lei corre e quando sbarca in Inghilterra legge sul giornale che suo marito, “the Red Doctor”, è già morto stroncato da un’ulcera.
Fin qui, la vita politica di Emmeline Pankhurst non è sostanzialmente diversa da quella delle suffragiste della generazione precedente: personalità contrastanti, certo, ma con attività simili, sostenute dai loro uomini e fatte di lobbying presso partiti e istituzioni, e di sensibilizzazione e associazione di donne. Non potendo votare o scrivere leggi, per le donne la mediazione maschile era imprescindibile. Però l’Ottocento finisce con nulla di fatto, nonostante che due generazioni di suffragiste si siano spese per il voto, e con il Novecento entra in campo un’altra generazione, la terza, quella delle figlie: Christabel, Sylvia, Adela Pankhurst…La strategia di una parte del movimento, e quella di Emmeline, cambiano radicalmente.
E’ormai giudizio condiviso che in tutta Europa la lunga attesa del suffragio sia stata dovuta all’indifferenza dei partiti conservatori, che non avevano alcun interesse a concederlo, e all’inerzia delle forze apparentemente favorevoli – liberali, radicali, socialiste – che ne temevano gli effetti, convinte che le donne si sarebbero rivelate più reazionarie degli uomini, votando in massa per la destra. Le suffragiste più giovani però non erano più disposte ad aspettare: “ E’ insopportabile pensare a un’altra generazione di donne che spreca la vita per implorare il voto. Non dobbiamo più perdere tempo. Dobbiamo agire” , dice a sua madre Christabel Pankhurst. E lei, per tenere insieme la vecchia e la nuova generazione, fonda la WSPU, l’associazione separatista che a partire dal 1906 passa alla provocazione organizzata.
E’ noto che le suffragiste – ormai ribattezzate suffragette – sfidavano folle ostili. Durante i comizi la gente lanciava contro di loro uova marce e immondizie; facevano azioni di disturbo nelle riunioni politiche ed erano trascinate via con la forza; in un crescendo di ribellione, adottarono le stesse tecniche del movimento indipendentista irlandese, rompere vetri e attaccare edifici pubblici e, se arrestate, fare lo sciopero della fame. Nel 1913 mille suffragette furono arrestate; anche Emmeline Pankhurst venne incarcerata e scarcerata dodici volte. Il governo aveva adottato la legge così detta “del gatto e del topo”: rilasciare le detenute denutrite per farle rimettere in forze e arrestarle di nuovo. In questa spirale di repressione e di fanatismo, Emily Wilding Davison, una militante arrestata e sottoposta per 49 volte all’alimentazione forzata, si gettò sotto gli zoccoli del cavallo del re durante il Derby Day. E all’inizio del 1914 un’altra suffragetta sfregiò con un gesto talebano la Venere di Velasquez alla National Gallery. Per “distruggere l’effige della donna più bella del mondo mitologico – scrisse – in segno di protesta contro il governo che ha distrutto la signora Pankhurst, una delle più grandi personalità della storia moderna”.
Si capisce che siamo ormai vicini al culto della personalità. Isolate, attaccate, soggette a ogni tipo di pressione, le suffragette raccolte nella WSPU sono diventate una falange con una leadership autonominata e autocratica, Emmeline Pankhurst non è più giovane e non ha più neanche una residenza stabile, gira per il paese come una predicatrice errante. Sua figlia Christabel, che riparerà in esilio a Parigi, la paragona a Garibaldi. Tra le suffragette, e tra le ragazze Pankhurst, iniziano le guerre intestine e le divisioni in sottogruppi. Avviata agli studi di giurisprudenza ma esclusa dall’accesso alla professione di legale, Christabel è la prediletta della madre e la vera ispiratrice della nuova politica aggressiva e separatista. Sylvia, che aveva studiato arte a Venezia, se ne va sbattendo la porta e fonda un’altra associazione femminile, preferisce il socialismo pacifista del padre al femminismo decisionista della madre, da lei descritta come “la dittatrice della WSPU” nel suo libro “The suffragette. The history of the women’s militant suffrage movement”, pubblicato nel 1911.
I colpi di scena non finiscono qui. Il primo agosto del 1914, quando arriva la dichiarazione di guerra della Germania, Emmeline e Christabel sono fuoriuscite in Francia. Tre giorni dopo, anche la Gran Bretagna entra nel conflitto. Il risultato degli ultimi dieci anni di lotta suffragista è la costruzione di un mito e la distruzione e la dispersione del movimento. Da animale assolutamente politico, Emmeline capisce che per rientrare in gioco deve usare la carta della guerra. Sospende le iniziative per il suffragio (farà lo stesso anche la più moderata Millicent Garrett Fawcett) e converte l’attività militante in volontariato di guerra e propaganda nazionalista, costringendo il governo a concedere l’amnistia a tutte le suffragette detenute.
La rottura con la figlia Sylvia è consumata definitivamente. Però nel 1918, alla fine della guerra e in ragione del contributo dato al paese, le inglesi di trent’anni ottengono il suffragio alle politiche. L’anno dopo anche il papa, Benedetto XV, si pronuncerà per il voto alle donne, che nell’Europa cattolica arriverà dopo altri trent’anni e dopo un’altra guerra. Quanto alla spregiudicata Emmeline Goulden Pankhurst, tentò di trasformare la sua associazione in un Partito delle donne immediatamente battuto alle elezioni. Seguirono anni in giro per il Nord America, tenendo conferenze a sostegno dell’Impero Britannico. Nel 1926 fu accolta nelle file del Partito Conservatore.
Il rancore per il comportamento dei liberali e dei laburisti ai tempi duri della lotta suffragista – quando si andava in prigione – aveva reso difficile qualunque riconciliazione. Sentimento del resto assolutamente ricambiato a sinistra, dopo la virata nazionalista delle suffragette. Fece comunque scandalo che la vedova di Richard Pankhurst fosse passata tra i conservatori. La sua presa di distanza dal socialismo era cominciata dieci anni prima. Nel 1917, Emmeline era stata in Russia e aveva incontrato Kerenskij, allora capo del governo. Non si erano piaciuti. Lui le aveva detto che le inglesi non avevano nulla da insegnare alle russe, lei lo aveva visto come“un uomo di paglia”. Era tornata spaventata dal bolscevismo, e più tardi in un’intervista lo aveva definito “la più grande frode dei tempi moderni”.